
Si riapre l’inchiesta sull’omicidio di Steve Biko
I procuratori sudafricani hanno deciso di riaprire uno dei casi più emblematici della lotta contro l’apartheid: la morte di Steve Biko. E lo faranno con tempismo simbolico: il 48º anniversario della sua morte, quel 12 settembre 1977 che trasformò il suo nome in un grido globale contro la segregazione razziale.
Biko, fondatore del Movimento di Coscienza Nera, fu arrestato il 18 agosto 1977 per aver “violato” restrizioni assurde ai suoi spostamenti. Tenuto nudo e incatenato in una stazione di polizia a Port Elizabeth, subì torture ripetute. Trasferito in condizioni disumane a Pretoria, morì il giorno dopo per gravi lesioni cerebrali.
All’epoca, la polizia disse che si era “sbattuto contro un muro”. Decenni dopo, davanti alla Commissione per la Verità e la Riconciliazione, alcuni agenti parlarono di una colluttazione con una sedia. Le prove mediche raccontano altro: torture e un pestaggio finale.
La Procura Nazionale sostiene che l’obiettivo è portare prove davanti al tribunale per stabilire se furono commessi reati. Il caso si aggiunge ad altre indagini riaperte dell’era dell’apartheid, tra cui la morte del Nobel Albert Luthuli (1967) e l’assassinio dei “Cradock Four” (1985).
L’eredità di Steve Biko va oltre le aule di giustizia: ha ispirato canzoni (Biko di Peter Gabriel), film (Cry Freedom, con Denzel Washington) e discorsi. Nelson Mandela lo definì “la scintilla che accese un fuoco di savana in tutta l’Africa australe”.
Quasi mezzo secolo dopo, il Sudafrica pronuncia di nuovo il suo nome. E il mondo ascolta.
✒️ L’interprete del codice silenzioso
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