Mar del Plata, Argentina
L’ex Aquarium di Mar del Plata ha chiuso i battenti il 31 marzo di quest’anno. Quello che doveva essere una fine ordinata —con promesse di trasferimento degli animali nati in cattività e liberazione di quelli idonei a tornare al mare— si è trasformato in uno scandalo di acqua verde, sbarre arrugginite e vicini che denunciano abbandono.
I delfini e i leoni marini non capiscono i contratti di affitto né le trattative fallite tra imprenditori e famiglie con terreni di fronte all’oceano. Nemmeno le dilazioni giudiziarie. Capiscono solo che l’acqua puzza, il cibo scarseggia e l’attesa diventa interminabile.
Ed è qui che la politica, quella che passa il tempo ad abbaiare ordini e a marcare territorio, dovrebbe mostrare che l’intelligenza non consiste solo nel recitare formule economiche. Perché i delfini non sono cani di razza da incidere sul bastone presidenziale. Non sono mascotte da selfie né trofei da esibire. Sono esseri viventi che oggi, a pochi metri dalla rambla di Mar del Plata, hanno bisogno di un gesto reale di umanità.
Se il presidente Milei vuole dimostrare di essere qualcosa di più di un showman di frasi ad effetto, ha un’occasione: muovere cielo, mare e terra per salvare quelle bestie dimenticate. Sarebbe, forse, la prima misura davvero intelligente del suo governo.
Salvare delfini e leoni marini non risolverà l’inflazione né il debito estero, certo. Ma mostrerebbe che alla Casa Rosada pulsa ancora un minimo di sensibilità. Che non tutto è motosega e Twitter.
Altrimenti, rimarrà l’immagine più crudele: un Paese che ha applaudito per anni lo spettacolo degli animali addomesticati e che ora, nella decadenza del business, li lascia morire in silenzio.
E allora sì, la storia sarà implacabile: i delfini avranno avuto più dignità di molti politici.
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